venerdì 8 dicembre 2017

Meteoriti e vita su Marte

La rivista (Edicolaweb) ha intervistato David S. McKay, responsabile del dipartimento di astrobiologia della NASA, il quale ha affermato di "non poter provare rigorosamente l'esistenza di vita marziana" e tuttavia appare convinto che il suo gruppo di lavoro sia "molto, molto vicino a dimostrare che su Marte ci sia stata vita".

Lo stesso, riferisce che altri campioni di vita fossile, uguali a quelli citati, dunque batteri, sarebbero ugualmente reperibili nel pezzo più grande in cui si ruppe il meteorite Nakhla", caduto nel 1911 vicino alla città di Nakhla in Egitto, conservato presso il Museo di Storia Naturale di Londra.

Si calcola che tali campioni potrebbero essere datati a 1,4 miliardi di anni fa, epoca in cui Marte si ritiene fosse dotato di un'atmosfera più densa e umida di oggi.
Si ipotizza che il pianeta rosso sarebbe stato ricoperto da una rete di micro-organismi, collocati nell'immediato sottosuolo.

La questione della provenienza "marziana" dei meteoriti, si basa inoltre su una comparazione della composizione chimica compatibile con i reperti analizzati dalle sonde Viking, negli anni '70.
Da parte sua, un collaboratore di McKey, il biologo Everett K. Gibson, ritiene che esistano altri campioni biologici del tutto comparabili a quelli riscontrati nei meteoriti caduti in antartico.

Tali ipotesi sono confermate anche dal ricercatore Michael Meyer, responsabile scientifico della NASA per l'esplorazione di Marte. Questi, in occasione del convegno dell'Unione Americana di Geofisica a San Francisco, ha dichiarato che gli scienziati NASA ipotizzano che la vita, sotto forma di microrganismi, sia stata presente su Marte circa 3,6 miliardi di anni fa. Lo stesso ha dichiarato che Marte potrebbe essere stato "popolato" (da batteri, s'intende) nel primo miliardo d'anni successivo alla sua formazione...


Per saperne di più, e per sapere se la notizia costituisce davvero una novità in fatto di "Vita su Marte", ci siamo rivolti al nostro amico Gianni Viola, responsabile della commissione tecno-scientifica per l'Agenzia "Free Lance International Press" di Roma e autore del libro "La civiltà di Marte" (Edizioni Mediterranee, Roma 2002).  
Intervista a GIANNI VIOLA
Francesco Di Blasi: Cosa ci puoi dire a proposito delle notizie riguardanti le meteoriti scoperte sulla Terra, ritenute di origine marziana e, quel che più conta, interpretate come "fonte di prova" dell'esistenza di vita su Marte?

Gianni Viola: Secondo una tesi accreditata presso tutti i centri di ricerca istituzionali (ovvero legalmente riconosciuti) e nondimeno nella impostazione di tutti gli studiosi che vi operano, la questione, se su Marte esista o meno la vita, è tuttora una faccenda irrisolta. Chiaro che, innanzitutto bisognerebbe mettersi d'accordo su che cosa s'intenda con il termine "vita".
Abbandonata sin dal IV secolo d.C., la concezione secondo la quale la vita coincide con il Cosmo (dunque il panteismo, come "symbolon", cioè "unione") e, avendo operato una divisione fra ciò che noi giudichiamo essere "vita" (dunque la forma riproducibile, organica), e ciò che invece riteniamo sia "non vita" (la forma non riproducibile, inorganica), ci ritroviamo tuttora con una concezione "diabolica" (da "dyabolon", ovvero "divisione") che divide tali fattori, ritenendo di doverli trattare, l'uno separatamente dall'altro.
Tale concezione, fino al presente, ha impedito ai più - a parte alcune eccezioni di cui spero poter far parte - di giungere ad un metodo condivisibile per "cercare la vita" (ovviamente "organica") fuori della Terra e, nel caso, trovarla.

F.D.B.: Ma perché cercare la vita fuori della Terra?

G.V.: Per quanto possa sembrare scontata e ingenua, la domanda ha la sua ragion d'essere ed è più complessa di quanto potrebbe a prima vista apparire. Se noi concepissimo tutto l'Universo e, dunque, anche la Terra che abitiamo, come una "forma vivente", potremmo fare a meno di chiederci se la vita esista o meno fuori dalla Terra, poiché la Terra sarebbe già una forma di "vita"; ma, come ben sappiamo, tale concezione oggi è relegata e confinata ai gruppi cosiddetti "esoterici" che considerano il nostro Pianeta una macrocellula dell'Universo...

Si cerca dunque la vita, per avere conferma di ciò che noi pensiamo sia la vita, ovvero la vita organica, distinta da quella inorganica.

Tale posizione, non solo immagina che la Terra non sia "vita", ma soprattutto si afferma che su di essa (o all'interno), la vita sia un accidente che vi è nata in seguito alla concomitanza di alcune condizioni che ne hanno reso possibile la nascita. Ci si domanda, quindi, se tale processo sia potuto avvenire "anche" altrove. Infatti è ben nota la posizione di chi, fino a poco tempo fa, sosteneva (diremo noi, senza "vergogna") che la vita si fosse sviluppata solo sulla Terra, rispetto a tutto l'Universo; oggi, immaginando che tale posizione sia del tutto insostenibile, si è ristretto il campo, dichiarando che l'unicità della Terra, semmai, è ascrivibile solo al Sistema Solare. In pratica si è trasferito a quest'ultimo, ciò che in precedenza si sosteneva con riferimento a tutto l'Universo.

Tuttavia, pure all'interno di queste posizioni così restrittive (e retrive...), si è stabilito di dover porre una "eccezione" possibile, dichiarando che, semmai, la vita, potrebbe essersi sviluppata solo su un altro pianeta, ovvero su Marte. E qui siamo già nel pieno della tragedia...

F.D.B.: Perché parli di "tragedia"? È possibile o no, rispondere alla domanda se siamo soli nell'Universo? E in che modo è stata cercata la vita su Marte?

G.V.: La posizione cosiddetta "ufficiale" (se mai, nella scienza, potrebbe esistere una posizione ritenuta tale...) afferma che, "nessuno adesso è in grado di dare una risposta definitiva".

Fino al XVII secolo Marte fu osservato solo ad occhio nudo, poi, da quella data in poi, ci si servì di varie strumentazioni ottiche (cannocchiali, telescopi, ecc.) e, già alla fine del XIX secolo, si poté giungere ad una visione molto ravvicinata (molto, rispetto al passato), riuscendo a distinguere su quel pianeta varie differenziazioni morfologiche e cromatiche, fra cui i famosi "canali", ritenuti artificiali o di origine naturale (Schiaparelli e Lowell, non esclusero mai questa possibilità). Con l'inizio dell'era spaziale (anni '60 del XX secolo) si appurò che tali canali erano solo un effetto ottico, mentre in molti casi si trattava di strutture naturali (ad esempio la Valles Marineris).

La prima missione importante che riuscì a mappare la quasi totalità della superficie del pianeta, fu la "Mariner 9" del 1971-1972 e tre anni dopo, con l'invio d'altre due sonde, le "Viking 1" e "Viking 2", che operarono fino al 1982, si realizzò la prima (e unica!) opera di rilevazione sistematica del pianeta in termini di completezza e di dettaglio.

Le immagini restituite dalle tre sonde avevano risoluzioni geometriche che andavano da circa 1 Km a pochi centimetri, considerando le grandiose realizzazioni dai due moduli di discesa delle Viking, che catturarono immagini da pochi metri a circa 4 Km di distanza.

Ovvio che, con in mano una tale mole di informazioni (oltre 60.000 fotografie orbitali e terrestri), l'opera di ricerca della vita su Marte avrebbe dovuto fare un balzo in avanti e, magari, giungere ad una conclusione soddisfacente, in un senso o nell'altro, sia trovando o non trovando la vita.

F.D.B.: In quale modo furono analizzate le immagini provenienti da Marte?

G.V.: Strano a dirsi, benché la scienza abbia avuto a disposizione sin dal 1972 (quindi da ben 38 anni) materiale prezioso su cui applicare la disciplina già utilizzata per l'esame delle rilevazioni satellitari della Terra - oggi denominata "fotointerpretazione" - si deve constatare con rammarico che un tale studio non sia mai stato condotto con riferimento al pianeta Marte. In pratica, pur avendo - con successo e con ottimi risultati - studiato le immagini provenienti dalle varie sonde di rilevazione che hanno esplorato la Terra dallo spazio (dalle "Landsat" degli anni '70 del secolo scorso, fino all'"Ikonos 2", alle "Spot", ecc.), il medesimo studio non è stato parimenti applicato al pianeta Marte.


F.D.B.: Perché è successo tutto questo? Perché non si è utilizzato un materiale che lo stesso Schiaparelli, pur con i limitati mezzi tecnici a disposizione, riusciva già a preconizzare, quando sperava che un giorno si sarebbe stati in grado di "fotografare Marte da vicino"?

G.V.: Certo, in tale prospettiva, è possibile immaginare che cosa avrebbe fatto Schiaparelli, se avesse avuto tale materiale a disposizione e con quanta passione e intelligenza avrebbe dato lustro e onori ad una scienza che oggi rifiuta di fare il proprio dovere e quando possibile (ovvero quotidianamente) tenta di ostacolare quanti invece, sulla scia della vera scienza, tentano di analizzare le immagini marziane, semplicemente applicandovi il metodo scientifico.

Oggi, ad esempio, si parla sempre degli "errori" commessi da Schiaparelli (e da altri suoi contemporanei), ma si dimentica che anche ipotesi false possono essere utili, se innescano processi di ricerca. La stessa cosa vale per ipotesi che sono addirittura inverificabili.

Consideriamo ad esempio la fisica contemporanea. Essa è dominata dalla teoria della sostanza della forza: è un'ipotesi grandiosa che, per sua stessa natura, non è assolutamente verificabile, ma che fa supporre, osservare, verificare una moltitudine di supposizioni particolareggiate.
Le grandi ipotesi che Cartesio considerava erroneamente "a priori" sono state in parte distrutte; ma, prima di essere distrutte, esse hanno provocato un gran numero di osservazioni e hanno potentemente contribuito ai progressi della scienza.


F.D.B.: Esistono delle "ragioni storiche" del rifiuto della scienza di studiare Marte in termini scientifici?

G.V.: Le ragioni di tale rifiuto non sono ascrivibili al singolo ricercatore, esse nondimeno vanno ricercate nella secolare (o millenaria?) sterile ed inutile lotta fra le due grandi scuole di pensiero umane, il razionalismo e l'empirismo, entrambe sconfitte, entrambe foraggiate, entrambe pericolose.
Il razionalismo è la tendenza che, avendo fede assoluta nella ragione, afferma che la conoscenza della verità si apre non al senso e all'esperienza, o alla fede rivelata, ma alle più alte funzioni dello spirito, il quale non è un recipiente vuoto, una tabula rasa, ma porta in sé e trae dalla sua interiorità principii, attività, idee (ad esempio di causa e di sostanza), che consentono di penetrare nella realtà, considerata razionale nella sua essenza. Tale tendenza filosofica dà la possibilità di comprendere la realtà, ordinarla, volgerla a beneficio dell'uomo nell'opera di dominare la natura.


F.D.B.: Puoi citarci, fra i filosofi, quelli ascrivibili alla scuola "razionalista"?

G.V.: Razionalisti si possono considerare nell'antichità Parmenide e Aristotele; Cartesio inizia il razionalismo moderno, seguito da Spinoza, Leibniz, Kant, Hegel, ecc..


F.D.B.: E l'empirismo, come si configura e quali personaggi possono comprendersi nella sua orbita?

G.V.: L'empirismo comprende le dottrine che considerano l'"esperienza sensibile", le impressioni dei sensi come il fondamento e la fonte prima, essenziale, insostituibile del conoscere umano; vi appartengono: nell'antichità la scuola cirenaica, la cinica, l'epicurea, la stoica e, nei tempi moderni, la filosofia di Bacone, di Locke e di Hume, i quali non ammettono principii ed idee innate e affermano che la conoscenza spunta soltanto dal contatto con le cose, dall'esperienza delle cose esterne o dei propri stati interni; gli elementi fondamentali sono le rappresentazioni semplici, le "sensazioni", che, collegandosi in rapporti sempre più complessi, spiegano tutta l'attività spirituale, non escluse le creazioni più alte.


F.D.B.: Nella disputa secolare fra i due "schieramenti" è mai sorto uno spirito immune da tali "estremismi" che ne abbia interpretato una sintesi?

G.V.: Strano a dirsi, un tale personaggio, è esistito, un grande filosofo, oggi quasi del tutto sconosciuto, Ernest Naville, svizzero di lingua francese, operante in Francia.

La sua posizione è egregiamente espressa da lui medesimo, quando dice:

"Benché la lotta dell'empirismo e del razionalismo riempia gli annali della filosofia, i pensatori che non sono influenzati da un sistema estremista ammettono in generale, nel fatto della conoscenza, una partecipazione dell'esperienza e una partecipazione della ragione, vale a dire un dualismo. Kant, erede sotto quest'aspetto delle tendenze di Leibniz, è, tra i filosofi moderni, il rappresentante più illustre di questo punto di vista."


F.D.B.: Ma qual è la "bestia nera" che fa tanto paura alla scienza che sfugge dal porsi su un piano di trasparenza, evitando di affrontare a viso aperto la realtà?

G.V.: La "bestia nera" è l'ipotesi, fulgido prodotto dell'immaginazione e fattore essenziale delle scienze. L'ipotesi cerca di comprendere la realtà, il suo rifiuto cerca di piegare la realtà ai propri limiti.
In tale situazione non è raro che si contrapponga a dei fatti reali, per come sostiene lo stesso Naville: "una pretesa scienza la quale non è altro che l'abitudine di spiriti imbevuti di false dottrine".

Se volessimo mettere in campo delle leggi della scienza ben consolidate (ovvero, accettate e ritenute tali, dalla cosiddetta "comunità scientifica"), dovremmo sempre ricordarci che, in teoria prima e nella pratica, dopo, un fatto ben constatato prevale contro tutte le leggi della scienza.


F.D.B.: A che punto è oggi la scienza nella ricerca della vita nello spazio e in particolare riguardo al pianeta Marte?

G.V.: La situazione è senza dubbio, drammatica. Da una parte non è stata condotta alcuna ricerca secondo termini scientifici verificabili (poiché non è stato esaminato a dovere, il materiale proveniente da Marte), dall'altra parte, si è proceduto, basandosi su alcun dato verificabile, a decretare cosa deve essere o non deve essere fatto nell'ambito di tale ricerca. Cioè si è fatto ciò che la scienza non potrebbe mai fare, poiché la scienza non può, né darsi né dare ad altri dei limiti invalicabili, se non quelli del rispetto e della dignità di ogni essere vivente.

In tale questione le posizioni dei ricercatori sono molto chiare. Quel che sorprende è che i fisici "moderni", non solo non sono riusciti ad applicare il metodo scientifico nella ricerca della vita (intelligente, speriamo...) nello spazio e nella fattispecie, su Marte; hanno ritenuto opportuno di non dare importanza ai risultati che realmente le sonde hanno ottenuto nell'esplorazione di quel pianeta e pretendono di sapere prima (e di saperlo, con certezza) cosa eventualmente le sonde erano andate a cercare su Marte, cosa potrebbero eventualmente trovarvi in appresso e cosa invece andrebbe cercato e trovato.
Insomma, la scienza sa tutto prima di procedere verso la ricerca, prima di fare ciò che le è proprio...


F.D.B.: Potresti offrirci qualche esempio di "posizione ufficiale" riguardo alla ricerca della vita nello spazio?

G.V.: Riguardo a ciò che è stato fatto dalle sonde su Marte, ho trovato su "Esistono gli extraterrestri", di Elio Sindoni: "Lo scopo delle sonde Viking non era certo di far visita ai marziani, che ormai restano confinati in qualche vecchio libro di fantascienza, bensì di saggiare il suolo del pianeta per vedere se contenesse composti che potessero essere indice di qualche forma di vita."

L'Autore, ignaro dei "veri" risultati degli esperimenti biologici (di cui diremo più avanti) si esprime in questa maniera: "I campioni di suolo esaminati, estratti alla profondità di alcuni centimetri, non hanno mostrato presenza di vita biologica, ma tracce che possano far pensare a fiumi prosciugati". Poi più in là, aggiunge: "C'è il sospetto che qualche forma di vita possa celarsi in strati più interni del pianeta". Questa è una delle "verità", che ogni studente di fisica, apprende dalle labbra del docente e che, pari pari, ripeterà per tutta la vita.

Alla fine, lo stesso Autore dice "Appurato che una vita intelligente non è possibile, al di fuori della Terra, nel Sistema solare, la ricerca si è rivolta al di fuori di tale sistema, ed è iniziata una vera e propria caccia ai pianeti extrasolari".


F.D.B.: Nell'antichità molti pensatori, pur in assenza dei nostri mezzi di indagine, riuscirono ad esprimere concetti molti profondi...

G.V.: Certo. Metrodoro (330-277 a.C.), scolaro e amico di Epicuro, si esprimeva in questo modo: "Considerare che la Terra sia il solo mondo abitato in uno spazio infinito è cosa tanto assurda quanto il ritenere che in un intero campo seminato a miglio germini un solo granello".

E da parte sua il filosofo romano Tito Lucrezio Caro (ca. 98-54 a.C.) diceva: "La natura non è qualcosa che esiste solo nel mondo sensibile - ovvero, nel mondo che i nostri limitati sensi, possono percepire, dico io - dobbiamo aver fede nel credere che in altre regioni dello spazio esistano altre Terre, abitate da altre genti e altri animali".

Oggi, queste cosmologie greche sono giudicate non completamente basate sull'astronomia scientifica o sull'osservazione sperimentale e si dice che tutto era giustificato, piuttosto, da teorie filosofiche soggette al più ampio dibattito e dissenso.


F.D.B.: Dunque i filosofi greci, in assenza di strumentazioni ottiche, in assenza di dati di rilevazioni satellitari, in assenza di strumenti di elaborazione (computer e quant'altro), addirittura, in assenza del "concetto" e del "prodotto" fotografico, erano giunti ad arditissime ipotesi, così ben congegnate e ancor meglio espresse...?

G.V.: Non solo. Oggi, quei pensatori, ricevono una critica tanto inconsistente, con l'accusa di non seguire una "astronomia scientifica" e di utilizzare "osservazioni sperimentali", da parte di coloro i quali, da quasi mezzo secolo, non si sono degnati di dar corso ad un vero studio scientifico dei pianeti, utilizzando l'unico materiale utile allo scopo, ovvero i dati delle rilevazioni satellitari che, proprio con riferimento al pianeta Marte, hanno dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio, che la vita intelligente lassù esiste in forme evidentissime e soprattutto rilevabili dai nostri mezzi di esplorazione.
Questa la situazione, questo il dramma.

Il Sindoni ad un certo punto dice: "La possibilità che esistessero esseri extraterrestri continuava a rimanere oggetto di discussione, anche da parte degli scienziati, che tuttavia divenivano sempre più scettici: alla fine dell'Ottocento molti si erano ormai convinti della solitudine dell'uomo nel Cosmo".
Possiamo commentare che la scienza non deve cercare certezze, mentre deve offrire dati certi. I dati certi non sono certezze, ma dati in progressione, posti come superamento dei precedenti che, a loro volta, saranno superati dai successivi.


F.D.B.: Qual è il giudizio complessivo su tutta la faccenda delle meteoriti di origine marziana?

G.V.: Il giudizio complessivo sulla faccenda concernente la vita su Marte è certamente negativo e non per pregiudizio. Si tratta di una vicenda molto squallida, male impostata, male affrontata e soprattutto strumentalizzata.

In realtà, come troviamo scritto nel pezzo "Una finestra sull'Universo" di Mario Di Martino (apparso su internet il 15 gennaio 2010, sul sito di "Focus") ad oggi, "sono più di 80 i meteoriti che sono stati individuati e designati come provenienti da Marte, per la semplice ragione che tutte quante hanno composizioni e rapporti dei gas intrappolati al loro interno che corrispondono esattamente ai dati raccolti dai due lander Viking (nel 1976) e nondimeno queste rocce hanno una composizione identica a quella delle rocce marziane che è stata determinata dalle numerose sonde che hanno finora esplorato il pianeta rosso."


F.D.B.: A questo punto sorge spontanea la domanda: perché rivolgere la propria attenzione alle rocce terrestri di provenienza marziana e non piuttosto riconsiderare in una diversa prospettiva le rocce marziane direttamente analizzate sul pianeta di origine, cioè su Marte?

G.V.: Il valore ed il clamore rivolti alle recenti "rivelazioni" delle meteoriti trovate sulla Terra e a cui viene attribuita una provenienza marziana, rappresenta dunque una semplice strumentalizzazione priva di alcun valore scientifico.

In pratica, avendo a disposizione dei risultati di esperimenti biologici (condotti già 34 anni fa), ed essendo stati, quei risultati, intelligentemente rivisitati nel 2001 tramite l'utilizzo di apparecchiature più moderne, ed in tal modo avendo tali rivisitazioni confermato in senso generale, la positività dei risultati in un primo tempo assegnata dubbiosamente solo ad uno dei tre esperimenti condotti, appare grottesco lo sforzo di trovare risultati positivi (del resto, ancora non trovati) su meteoriti marziane presenti sulla Terra.

Come si sa, uno dei principi della scienza è di scegliere, nella conduzione del metodo scientifico, la via più breve e più semplice e, soprattutto, di non scartare per pregiudizio dei risultati già ottenuti, ma in contrasto, con le posizioni dominanti della "casta scientifica".


F.D.B.: Quali furono in realtà i risultati degli esperimenti del 1976?

G.V.: Le sonde "Viking" furono lanciate nel periodo agosto-settembre 1975, giungendo su Marte l'estate successiva. I due lander si posarono sulla superficie del pianeta successivamente eseguendo una serie di esperimenti atti ad analizzare campioni del suolo.

Questo esperimento, denominato "Liberazione", fornì carbone radioattivo ai campioni di terreno presi da Marte e proseguì per ricercare ossido di carbonio radioattivo, che poteva essere stato liberato dalla respirazione di organismi viventi. In tutti i test, i campioni produssero quantitativi misurabili di ossido di carbonio radioattivo.

In pratica un braccio robotizzato raccoglieva dei campioni di terreno deponendoli in un contenitore assieme ad una soluzione nutritiva in precedenza marcata con carbonio radioattivo. Se nel suolo ci fosse stato qualche organismo vivente, avrebbe assimilato e processato gli elementi nutritivi marcati dal carbonio radioattivo, eventualmente rilasciando poi il carbonio nella forma di gas.

F.D.B.: Come si sviluppavano in pratica gli esperimenti?

G.V.: L'esperimento era controllato attraverso un rilevatore di radiazioni, installato sopra il coperchio del contenitore e collegato ad esso attraverso un tubo nel quale ogni gas eventualmente rilasciato poteva scorrere.


F.D.B.: E i risultati ottenuti, quali furono?

G.V.: L'esperimento diede risultati corretti, tanto è vero che i ricercatori preposti - Patricia Straat e Gilbert Levin - trovarono chiare prove del rilascio di gas.
Il dottor Klem, commentando la reazione della terra marziana al cosiddetto "brodo di pollo", sostiene che se so tratta di un fenomeno biologico, ciò indica che la vita microbica è più sviluppata lassù rispetto alla Terra.

Nonostante il raggiungimento di tali risultati, altri scienziati suggerirono che il rilascio poteva essere meglio spiegato come risultato di reazioni chimiche con componenti altamente reattivi, ad esempio perossidi e superossidi.

Stante il livello della ricerca all'epoca degli esperimenti, i due ricercatori si trovarono nell'impossibilità di provare che quei gas erano stati rilasciati da organismi viventi, quindi furono costretti ad abbandonare l'ipotesi inizialmente sostenuta.
Non solo. Altri ricercatori indagarono su possibili spiegazioni alternative riguardo ai risultati ottenuti stando bene attenti a non tirare in ballo organismi viventi. Nonostante fossero ipotizzate diverse soluzioni, nessuna fra loro non è stata mai ritenuta del tutto soddisfacente.


F.D.B.: Puoi dirci quali sono stati i dati ottenuti dalla rivisitazione degli esperimenti?

G.V.: Ti leggo quanto riportato da Panorama nel 2001, sulle convinzioni di Levin riguardo agli esperimenti: "Erano tutti a favore della presenza di vita. Da allora ho sempre cercato d far capire il valore di quello che si era scoperto, ma invano". "Tutti i microrganismi terrestri che metabolizzano sostanze organiche liberano anidride carbonica. Pensai che se si fosse preso un campione di suolo marziano e lo si fosse spruzzato con acqua e sostanze nutrienti contenenti carbonio radioattivo, eventuali organismi viventi si sarebbero nutriti d tali sostanze, quindi avrebbero emesso anidride carbonica la cui molecola sarebbe stata composta, tra l'altro, dal carbonio radioattivo immesso, facile da rilevare. Il test fu provato sulla Terra, per verificarne la validità, poi fu effettuato su Marte, da entrambe le sonde Viking, in maniera automatica. E diede risultati analoghi: emissione d'anidride carbonica come se fosse stata prodotta da un organismo vivente, che respirava".


F.D.B.: Se non ricordo male, si occupò della faccenda anche Michael Carr, geologo operante al centro di controllo della NASA al tempo delle Viking...

G.V.: Sì, secondo una dichiarazione del Carr, nel momento in cui arrivarono i dati dell'esperimento, egli si espresse in questi termini: "Mio Dio, dissi, c'è vita su Marte. La risposta non lasciava dubbi. In presenza dei nutrienti, si notava una forte emissione di anidride carbonica radioattiva, che poi calava lentamente".


F.D.B.: Tutto faceva pensare che la vita su Marte ci fosse, in ogni modo...

G.V.: Certo! Tuttavia il gelo scese tra gli scienziati quando un altro esperimento a bordo di una delle due "Viking", con il compito di trovare molecole organiche direttamente nel suolo di Marte, non ne trovò neanche una. A tal proposito il ricercatore Levin afferma: "Non furono individuate molecole organiche nel suolo di Marte solo perché il sistema di rilevazione di allora non era così raffinato da poter mettere in luce i microrganismi marziani".


F.D.B.: Altri scienziati si sono occupati della medesima questione?

G.V.: Il secondo scienziato a sostenere l'ipotesi della vita è Joseph Miller, professore al Dipartimento di Neurobiologia della "Keck School of Medicine" presso l'Università della California del Sud (San Diego), che ha il pieno sostegno della NASA. È stato lui, negli anni '80, a preparare i giusti ritmi di veglia e sonno per gli astronauti degli Shuttle.

A colpirlo è stato un dettaglio cui nessuno, 26 anni fa, aveva dato importanza. Nell'ambito di una nuova ricerca NASA per la futura esplorazione umana su Marte, lo scienziato ha di recente analizzato di nuovo i grafici dell'esperimento di Levin, scoprendo che l'attività chimica riscontrata nel suolo può essere correttamente spiegata solo ammettendo la presenza di cellule viventi e secondo Miller tutto ciò fornisce la prova che la vita potrebbe esistere sul Pianeta Rosso.
Ne ha dato notizia In occasione del 26° congresso annuale della Società americana d'ingegneria ottica.

F.D.B.: Cosa afferma in particolare Miller?

G.V.: Miller ha affermato: "Il segnale dell'emissione dei gas non solo aveva un ritmo circadiano, ma ha un preciso ritmo di 24,66 ore, particolarmente significativo perché è uguale alla lunghezza di un giorno marziano. Notai che l'emissione di anidride carbonica dal suolo marziano non era continua, ma mostrava un aumento durante il giorno e un calo di notte".

I ritmi coincidono perfettamente con il giorno marziano. E come sostenuto da Miller, si tratta di "una ritmicità tipica di qualche forma di attività biologica".

Anche stavolta i chimici si sono messi al lavoro per trovare una risposta che non richiedesse la presenza di organismi viventi ma, dal canto suo, Miller ha smontato tutte le ipotesi avanzate, precisando: "Credo che Levin avesse ragione e già 25 anni fa. Ora la NASA dovrebbe replicare un esperimento a bordo di una sonda, per rifare i test delle Viking. Ma è restia".

F.D.B.: Che cosa sostengono i "detrattori" della tesi della riuscita degli esperimenti biologici e in che modo altri hanno confutato tali critiche?

G.V.: Per quanto concerne i dubbi sollevati 25 anni fa dai chimici, che sostenevano che lo stesso segnale potesse semplicemente derivare da reazioni chimiche con composti non organici del suolo altamente reattivi, Miller afferma che questo scenario sembra ora in sostanza impossibile da immaginare.

"Per prima cosa, ci sono ricerche che mostrano che i superossidi esposti ad una soluzione acquosa, come la soluzione nutritiva usata nei Viking, sono rapidamente distrutti. Invece i ritmi circadiani mostrati dal suolo marziano persisterono per ben nove settimane. E non c'è ragione che una normale reazione chimica sia così fortemente sincronizzata a così minuscole fluttuazioni di temperatura.

Se uniamo ciò alle recenti immagini delle sonde che indicano fortemente che l'acqua fluì sulla superficie di Marte fin nel recente passato, molte delle caratteristiche necessarie alla vita sono lì. Penso che i ricercatori del Viking, nel 1976 ebbero eccellenti ragioni di credere di aver scoperto la vita; ora, con questa nuova scoperta, direi che la vita lassù è presente con un grado di certezza di almeno il 90%. E penso che ci siano molti biologici d'accordo con me. Sulla base di nuove informazioni che ho ricavato da uno degli esperimenti biologici che il Vikng condusse su Marte, mi sento di sostenere che la probabilità dell'esistenza di vita microbica, su pianeta è del 90 per cento".


F.D.B.: Della faccenda si sono occupati anche tanti altri ricercatori. Puoi citarne alcuni?

G.V.: Si tratta di Vincent Di Petro e Gregor Molenaar, i quali, senza mezzi termini, scrivono che il già citato dott. Levin (uno dei responsabili degli esperimenti della ricerca della vita condotti con il materiale prelevato dalle sonde Viking) "ha provato vigorosamente ed effettivamente che gli esperimenti del Viking (...) probabilmente hanno mostrato l'esistenza della vita".

Un altro ricercatore è Carol Stoker, biologo presso l'"Ames Reserarch Center" della NASA. Egli afferma che dalle analisi delle immagini ricevute dalla sonda Pathfinder, che scese su Marte nel 1997, apparirebbero tracce di clorofilla sulle superficie in almeno due aree vicino alla sonda. Si è preferito pensare a un "possibile errore", ma Stoker ha analizzato quei luoghi in 15 lunghezze d'onda e in quelle due aree si osserva proprio la lunghezza d'onda che si ottiene quando la clorofilla assorbe la luce solare.

F.D.B.: Quali sono le conclusioni possibili?

G.V.: Se chiedi ad un qualsiasi operatore di un centro di ricerca, ad un astronomo, ad un docente, se ritiene possibile la presenza su Marte, dì vita intelligente, quindi in prospettiva, anche umana, vi dirà, no, che non è possibile, anzi vi informerà che le sonde ne hanno appurato l'assenza (mentre è vero il contrario) e infatti, per tale asserzione nessuno ha mai fornito prove a sostegno di quanto affermato. Del resto non potrebbe fornirne, perché di prove il tal senso, non ne esistono.
Ma andiamo avanti...


F.D.B.: Si sostiene sempre che potrebbero esservi presenti solo delle forme elementari...

G.V.: Già. A proposito dei tre meteoriti cui si faceva cenno poc'anzi, nell'intervista a "Spaceflight Now", David S. McKay, responsabile del dipartimento di astrobiologia, afferma di "non poter provare rigorosamente l'esistenza di vita marziana", ma è convinto che il suo team sia "molto, molto vicino a dimostrare che su Marte ci sia stata vita".

Dalle affermazioni di questo ricercatore si evince che:
- la vita intelligente non è mai stata trovata su Marte (poiché essa sovercherebbe in significato, la vita elementare);
- la vita elementare non è stata ancora rilevata in termini definitivi.Sul primo punto stendiamo un velo pietoso, poiché McKay, alla pari di tutti i suoi colleghi, non può sapere che la vita intelligente fu rilevata dalle sonde "Mariner 9", "Viking 1" e "Viking 2" (e, nel caso, lo sapesse, dovrebbe non dirlo). Sul secondo punto, al limite, potrebbe pure saperlo e potrebbe pure dirlo, poiché, nella realtà, altri esperimenti biologici (nella fattispecie, quelli condotti dai due moduli di discesa dei Viking, nel 1976), dimostrarono sin da allora, che la vita su Marte esiste e non ha mai cessato di esistere.


F.D.B.: In pratica, la strategia ufficiale tende a dimostrare, che cosa...?

G.V.: Volendo sintetizzare, sarebbero questi i termini della questione. I ricercatori tendono di raggiungere l'obiettivo, dimostrando:

- Tramite la ricerca di vita intelligente fuori dal Sistema Solare, che essa "non si trova all'interno di esso";
- Tramite la ricerca di vita elementare su Marte, che essa "non è stata ancora trovata sul pianeta Rosso".Ora, noi ben sappiamo invece che entrambe queste posizioni sono false, poiché la vita intelligente su Marte fu trovata nel 1972, dalla sonda "Mariner 9", e riconfermata nel periodo 1976-1982 dalle sonde "Viking", mentre la vita elementare fu trovata su Marte già nel 1976.


F.D.B.: In questi giorni si è affermato che "Marte potrebbe essere stato popolato nel primo miliardo di anni successivo alla sua formazione" (Marte, su meteoriti prove di vita - 10 gennaio 2010 - Agenzia ANSA), ovviamente popolato da microrganismi.

G.V.: In pratica la vita ipotizzata su Marte è relativa a forme lontane nel "tempo" (3 miliardi di anni fa!) e nello "spazio concettuale" (batteri anziché esseri intelligenti). Tutto, cioè, combacia perfettamente con lo scopo di "allontanare" in termini fisici e filosofici, l'idea che Marte possa ospitare "attualmente" una vita intelligente.

Lo sforzo è tutto teso a dimostrare questa tesi e il linguaggio è volutamente (e costrittivamente) fumoso: così gli scienziati sono "molto, molto vicini a dimostrare che su Marte ci sia stata vita", si è "praticamente certi che i meteoriti provengano da Marte", e ancora "i risultati di questo studio possono essere un ottimo punto di partenza per indagare sulle possibilità di vita su Marte" e così via discorrendo, ma sempre nessuna certezza...

F.D.B.: Alla fine, si riparte sempre da zero...?

G.V.: Certo. Vuoi un esempio? Il giornalista Luigi Bignami afferma, nel titolo di un pezzo apparso sul sito del quotidiano La Repubblica del 10 gennaio 2010: «Gli studiosi dei meteoriti: "Sicuri, c'è vita su Marte"», quando poi, nella conclusione dello stesso, se ne parla solo come ipotesi futura...

Infatti dice: "Ora non rimane che attendere le prossime missioni spaziali verso Marte che porteranno strumenti per un'analisi approfondita del suolo marziano, con il fine primo di cercare proprio sul luogo forme di vita passate o presenti".

F.D.B.: A questo punto è d'obbligo, un tuo commento...

G.V.: Diciamo che non vorrei essere mai nei loro panni, nell'inutile e patetico tentativo di nascondere quello che altri sanno già da tempo.


F.D.B.: Un'ultima domanda. Prima riferivi delle riprese satellitari che avrebbero rilevato in maniera chiara la presenza di vita intelligente su Marte. 
Noi ben sappiamo che oggi la risoluzione delle sonde in attività su Marte è ben superiore a quelle utilizzate in passato. 
Come mai in tali rilevazioni, questi scienziati non vedono nulla?

G.V.: A questo proposito ti offro una chicca incredibile... il professore Jan-Peter Muller dell'UCL (University College London), responsabile della mappatura della forma tridimensionale (3D) della superficie marziana, dice:

"Ora riusciamo a modellare la forma tridimensionale di Marte ad una risoluzione sotto il metro, al pari di un qualsiasi buon satellite commerciale che orbiti intorno alla Terra. In questo modo siamo in grado di verificare la nostra ipotesi (la presenza di acqua nel passato di Marte - nota di edicolaweb) in modo più rigoroso di quanto fosse possibile in passato".


F.D.B.: Si accorgono dei laghi fossili, dei fiumi in secca e dei fondi degli oceani ormai privi di acqua, ma non riescono ad identificare nessuna fra le strutture "non naturali" già vista e decodificata in base alle rilevazioni effettuate dalle missioni "Mariner 9", "Viking 1" e "Viking 2"?

G.V.: Dici bene... Basterebbe solo considerare che, nelle medesime condizioni in cui sono osservate le varie strutture che su Marte appaiono con connotati artificiali, sulla Terra sono osservate tutte le strutture, sulla "artificialità" delle quali nessun pone alcun dubbio, per la semplice ragione che si tratta di strutture risaputamene opera dell'ingegno umano.

Ciò è tanto vero perché molti ricercatori, interrogati dal sottoscritto, hanno giudicato alcune strutture terrestri (artificiali), ritenendole di origine naturali, perché presentate come se fossero marziane.
Questo significa che la "linea guida" di tali ricercatori non è il metodo scientifico, quanto piuttosto un pregiudizio che fa ritenere loro per principio che su Mate non possa esistere nulla di artificiale e che "per decreto" si possano trovare solo tracce di vita elementare passata, o presente, ma nulla che possa ricondursi a forme di vita intelligente.

Chiaro che una scienza che si ponga dei limiti, o che pretenda di porli agli altri, è già una pratica del tutto priva di legittimazione "scientifica". Una scienza così non può insegnare niente a nessuno e non può essere presa in considerazione.


F.D.B.: Grazie per questo tuo contributo che porta chiarezza...

G.V.: Grazie a te e un caro saluto ai lettori di Edicolaweb.
Gianni Viola è responsabile della commissione tecno-scientifica per l'Agenzia "Free Lance International Press" di Roma. È autore del libro "La civiltà di Marte" (Edizioni Mediterranee, Roma 2002).

Fonte (ora offline): edicolaweb.net

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