domenica 20 marzo 2022

Cronaca di un’onda gravitazionale annunciata

Sappiamo che esistono, ma sono decenni che gli scienziati inseguono il sogno di rivelare direttamente queste increspature dello spazio-tempo. L’attesa è così spasmodica che ogni sussurro, amplificato a dismisura dalla rete, diventa un colpo di cannone

Foto: Simulazione 3D di onda gravitazionale prodotta da due buchi neri orbitanti. 
Crediti: Henze, NASA

di Patrizia Caraveo

Le onde gravitazionali sono un argomento particolarmente caldo perché rappresentano la nuova frontiera della ricerca in fisica e astronomia.
Sappiamo che esistono, ma sono decenni che gli scienziati inseguono il sogno di rivelare direttamente queste increspature dello spazio-tempo attraverso la misurazione della minuscola variazione di lunghezza che il loro passaggio provocherebbe nel braccio di un rivelatore. 

Ha iniziato negli anni ’60 Joseph Weber, il mitico Gravity Joe, che ha ben presto scoperto che rivelare un’onda che ritmicamente stira e comprime di quantità infinitesimali lo spazio è una misura delicatissima perché qualsiasi vibrazione terrestre (un motore su una lontana autostrada, un treno, le onde dell’oceano distante chilometri) ha un effetto più grande di quello causato dal passaggio di un’onda gravitazionale. 
Isolare da ogni disturbo esterno i rivelatori è una sfida al limite del possibile. Gli sforzi di Gravity Joe non sono andati perduti perché hanno ispirato la nuova generazione di rivelatori di onde gravitazionali, pensati per avere dimensioni molto più grandi, quindi molto più sensibili (cioè capaci di rivelare segnali molto più deboli) ma molto più difficili da isolare dall’ambiente circostante. 

La sfida si può vincere solo combinando i risultati di rivelatori in angoli diversi della terra. Mentre i disturbi saranno diversi, un eventuale segnale reale verrà registrato da tutti in una ordinata sequenza temporale. In effetti, vedendo quale è il rivelatore che registra prima il segnale, sarà possibile avere un’idea, grossolana ma sempre utile, sulla direzione di provenienza dell’onda gravitazionale...

Una visione aerea dell’osservatorio per onde gravitazionali LIGO. Credti: LIGO, Caltech, MIT, NSF

La comunità mondiale si sta dotando di diversi rivelatori di onde gravitazionali: due sono negli Stati Uniti (in Alabama e nello stato di Washington), e costituiscono lo strumento LIGO, mentre il rivelatoreVIRGO è in Italia, nella campagna intorno a Pisa.
Tanto Virgo che Ligo sono stati recentemente potenziati per aumentarne la sensibilità. LIGO ha ripreso a funzionare a settembre per un primo periodo di prova. A gennaio è stato spento per continuare il potenziamento che richiede ancora qualche mese di lavoro. VIRGO, invece non ha ancora ripreso l’attività, ma lo farà presto.

Quando entrambi funzioneranno, diciamo a fine 2016, avremo il primo sistema globale di rivelazione di onde gravitazionali. 

Vedere le increspature dello spazio tempo sarà un grande passo avanti per la scienza ma, per completare l’opera, sarà necessario capire quale oggetto celeste sia responsabile dell’emissione. 

Una mostruosa supernova non troppo lontana? 
La coalescenza di due stelle di neutroni che orbitano l’una intorno all’altra in un sistema binario dalle orbite sempre più strette? 
Coalescenza di due buchi neri? 
Si tratta di fenomeni che potrebbero produrre anche emissione elettromagnetica, nel radio, nell’ottico, nei raggi X e nei raggi gamma. Per questo la comunità delle onde gravitazionali sta prendendo accordi con i gestori di numerosi osservatori per preparare una rete di telescopi e di rivelatori pronti a riorientarsi all’annuncio (segreto) della possibile rivelazione di un segnale gravitazionale. 

Per poter giocare bisogna accettare la consegna del silenzio. Ti dico in anticipo da dove ho visto venire il segnale (o quello che assomiglia al segnale che si aspetta) e tu (tenendo la bocca rigorosamente chiusa) usi i tuoi strumenti per andare a vedere se, in quella zona di cielo, è successo qualcosa di strano. 
Poi c’è sempre il fattore “c”, quella fortuna che a volte arride gli astronomi (ma più spesso guarda dall’altra parte).


Dopo i molti tentativi infruttuosi fatti fino ad ora, adesso tutti pensano che gli strumenti potenziati abbiamo la possibilità di ottenere lo storico risultato.

L’attesa è così spasmodica che ogni sussurro, amplificato a dismisura dalla rete, diventa un colpo di cannone. Basta un tweet di qualche fisico che dica più o meno “ho sentito che LIGO potrebbe avere visto le onde gravitazionali” che tutti si elettrizzano. Tutti, tranne i diretti interessati, ovviamente, chiusi nella loro consegna del silenzio. 

Nessuno di LIGO apre bocca tranne che per dire che non hanno ancora finito di analizzare i dati. I bene informati, inoltre, ricordano che negli esperimenti delle onde gravitazionali è prevista la crudele pratica della “blind injection”, cioè dell’inserimento di un segnale artificiale studiato apposta per trarre tutti in inganno. Per mettere alla prova i rivelati ed il software che analizza i dati, viene inserito, all’insaputa di tutti, un segnale dall’apparenza reale, ma completamente fasullo, che deve generare tutte le allerte astronomiche provocate da un vero segnale. 

I responsabili dell’analisi dei dati devono saltare sulla sedia e mandare l’informazione (da tenere segreta) a tutti quelli che si sono impegnati a collaborare, in modo che tutti i telescopi del mondo si mettano a cercare il possibile responsabile del segnale. 
Una volta che tutti i dati siano stati raccolti e analizzati e si sia arrivati quasi a stappare lo champagne, arriva la doccia fredda. L’autore dello “scherzo segreto”, l’unico depositario della verità, scopre le carte e quella che sembrava una scoperta diventa solo una prova del buon funzionamento della macchina.

Tutte queste considerazione non fermano lo stillicidio di tweet e si sussurra che la grande notizia sarà annunciata nei prossimi giorni. Sarà la scoperta del secolo? Sarà la nuova frontiera dell’astronomia o piuttosto quella del pettegolezzo astronomico?

L’articolo è stato pubblicato nell’edizione del 7 febbraio 2016 del quotidiano Il Sole 24 Ore.
Letto e condiviso da: www.media.inaf.it

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