venerdì 1 febbraio 2013

La vittima e il carnefice

Gianni Tirelli

Ciò che definiamo metaforicamente il “Diavolo” si inquadra in un’entità priva di qualsiasi forma di volontà, risultato ultimo di una mutazione indotta dalla degenerazione della coscienza individuale, che al valore etico della verità e alla passione intellettuale volta al suo conseguimento, ha sostituito l’inettitudine, la paura, il dubbio e la mercificazione della dignità!

Nelle nostre società “moderne”, ci sono sempre più individui che pur di scansare ogni fatica fisica, morale e psicologica, si adattano al peggio, tradendo così ogni vero sentimento umano, di amore e di valori. In questo modo, imparano a mentire e a fingere (sia con gli altri che a se stessi) in una sorta di commedia dell’assurdo che si propone di contrastare e placare un pungente disagio psico/somatizzante, prodotto da una paura esistenziale paranoide e dall’intima vergogna, relativa a un’auto stima ai minimi termini – fino a confondere, in seguito, la realtà con la commedia. Le attenuanti, poi, intervengono come elementi dopanti di deresponsabilizzazione e sistematica maldicenza, accusando gli altri di essere la vera causa dei nostri problemi e fallimenti!

In molti casi, una tale condizione, innesca una sorta di particolare sindrome di Stoccolma, rivisitata in chiave sociale e applicata ad un perverso rapporto di coppia. In questo modo, si condivide e si partecipa alla follia dell’altro per non impazzire, condividendone i lati più oscuri e schizofrenici e assecondando supinamente ogni sua scelta e malato desiderio. In questo caso, la vittima viene assimilata e risucchiata gradualmente, all’interno della personalità del carnefice, fino a divenirne lei stessa, parte integrante e dominante...

Il caso Olindo e Rosa, benché estremo, rappresenta al meglio la condizione di traghettamento delle personalità sopra da me descritto. Sono entrambi vittime, e carnefici allo stesso tempo. Non esiste alcun sentimento d’amore che li leghi, ma solo un profondo e reciproco odio e disprezzo. Il collante di questa unione è relativo ad una solitudine incommensurabile foriera di autodistruzione – uno stato di profonda angoscia e di paura, che ne caratterizzano la profonda debolezza psichica, umana e morale di entrambi. E’ il classico “rapporto salva vita”, intriso di incongruenze, contraddizioni, assurdi ed ossimori, venendo a mancare il quale, i due soggetti sono predestinati al suicidio.
E’ la vittima esausta e rassegnata, impotente di fronte al dolore, che cerca conforto fra le braccia del proprio carnefice, accettando incondizionatamente il suo volere e annuendo ad ogni sua conclusione e decisione. Ma la strategia dell’abbandono totale fra le fauci del carnefice, funziona solo in parte. Questo perché, nella vittima, persiste a volere vivere una residua consapevolezza, che alimenta il tormento indotto dai sensi di colpa e dalla frustrazione da fallimento.
La stessa vittima, è carnefice della propria dignità, autostima e volontà, sacrificate a fronte di una pace illusoria, che ha la stessa durata del ragionamento che l’ha formulata. Uno stato di liberazione, da sempre agognato e mai acquisito.
E’ la paura, in una tale circostanza, a dettare le regole del gioco e per tanto, ogni scelta non fa che peggiorare una tale condizione relegando l’individuo “vittima”, in una sorta di prigione mentale che condizionerà i sui atteggiamenti e comportamenti, e senza alcuna via di uscita.
Una condizione del genere, può protrarsi nel tempo fino a quando, superato il naturale e logico limite di sopportazione, esploderà in tutta la sua violenza e virulenza per degenerare in tragedia.
A questo punto, il soggetto in causa, si trova di fronte a tre opzioni:
a) Optare per il suicidio come liberazione dal tormento.
b) Rifugiarsi nella follia come estrema condizione di vita.
c) Mettersi al servizio del maligno, incondizionatamente, rinunciando per sempre alla propria coscienza e individualità.
Oggi, la terza di queste scelte estreme (la c) è la più gettonata, a dimostrazione di un mondo in balia della distruzione sistematica dell’ambiente, della morale e di ogni principio etico.
La fine dell’umanità, quindi, è un dato certo, incontrovertibile e ragionevolmente auspicabile.
Un essere umano, è parte dell’INTERO che chiamiamo Universo; una parte limitata nel tempo e nello spazio. Ha un’ esperienza di sé, dei suoi pensieri e sentimenti come fosse separato dal resto; una sorta di illusione ottica della sua coscienza.
Questa illusione è per noi come una prigione, che ci limita ai nostri desideri personali e all’affetto per le poche persone che ci sono vicine.

“Il nostro compito è di liberarci da questa prigione, ampliando la nostra cerchia di compassione per includere ogni creatura vivente e l’intera natura nella sua bellezza”
Albert Einstein

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